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In televisione la guerra nasce sempre orfana e muore sempre senza prole
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Ennio Remondino



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 In televisione la guerra nasce sempre orfana e muore sempre senza prole

Ennio Remondino, giornalista Rai

Volevo dare un contributo minimo rispetto a cose già dette da altri. La questione di come l’informazione possa raccontare la guerra: nella mia esperienza parlando di formazione giornalistica televisiva, ho inventato una sorta di battuta che però racchiude parecchi significati e ci offre parecchie riflessioni. In televisione la guerra nasce sempre orfana e muore sempre senza prole. Vale a dire che nell’ambito della comunicazione televisiva, sto parlando per l’Italia in particolare del servizio pubblico, non vi è mai crisi internazionale, conflitto sociale, tensione che meriti l’attenzione preveggente quando già le premesse sono che superando una certa soglia di tensione si arriverà alla guerra. La guerra non ha mai genitori perché il racconto giornalistico è mediocre e disattento e legato all’audience dell’emozione del momento. Prima me la da la guerra che è ormai un fenomeno di audience, di spettacolarizzazione. E secondo me abbiamo assistito nelle rappresentazioni delle guerre moderne a una “gabellatura” ulteriore di cui non ho visto però una riflessione attenta né negli organi di categoria, neppure una percezione delle associazioni delle sensibilità che voi qui rappresentate molto meglio di me. Ci hanno gabellato un prodotto chiamandolo informazione e poi ci hanno offerto comunicazione prendendoci per i fondelli. Noi abbiamo avuto l’Iraq spalmato nel palinsesto a partire dal tg 1 mattina fino all’ultimo della notte, noi avevamo l’Iraq proposto all’ora di pranzo dalla nostra amica bionda e il pomeriggio perfino Michele Cucuzza e la domenica c’era anche la Venier. In realtà, nella contraddizione della non-notizia o del fatto verificato, ti proponevano come informazione ciò che era comunicazione. Quante volte ho sentito raccontare che è caduta Bassora, vuol dire che 99 volte ci hanno raccontato balle. Cioè, nello spalmare la notizia sul palinsesto, è stato sottratto ai colleghi valorosi sul campo la possibilità di esercitare la priorità del mestiere. Informare, per quanto ne so io, significa mettere in forma. Primo riscontrare e poi selezionare nel pacchetto dei si dice, ciò che sono verità e nel mucchio delle ipotetiche verità gli elementi essenziali per raccontare la partita, è come se uno mi raccontasse la partita parlando della velina a centrocampo e non dei gol… Questo è l’elemento spettacolare.
La cosa successiva è quella della guerra che non lascia mai figli, cioè non c’è eredità. Perché? E’ disattenzione giornalistica soltanto oppure c’è un vero e proprio matrimonio di interesse? Allora sei anni dopo, gli obiettivi raggiunti della guerra umanitaria in Kosovo potrebbero forse aiutare a capire che la real politik della guerra e del risultato di quel conflitto non coincidono assolutamente con l’ideal politik che ci hanno venduto in quell’occasione con quel tipo di prodotto guerra.
In questi elementi io trovo l’obiettivo fondamentale di battaglia oggi, quando si parla di servizio pubblico. Siamo alla vigilia di una campagna elettorale durissima e c’è un blocco riformatore che sta proponendosi il programma, dovrà affrontare speriamo come forma di governo anche una revisione di ciò che è, parlando dalla nostra piccola Italia, la Rai a ruolo di servizio pubblico. Sinceramente sarei interessato anche come cittadino a sentire dibattiti più che sulla quota di privatizzazione della Rai, o se si o no, e se si quanto, qualche elaborazione che ricordasse i contenuti. Questo è il dovere del servizio pubblico e le guerre del servizio pubblico hanno dei genitori e lasciano dei figli. Non possiamo creare una famiglia altrimenti noi non riusciremo mai a sviluppare un discorso anche se è corrispondente al servizio pubblico e poi a spiegare all’umanità che le guerre producono risultati ben diversi da quelli proposti.
Mi incuriosivano alcuni interventi precedenti, volevo fare due puntualizzazioni. Il presidente parlava di Kapuscinsky e del discorso dello zoom, io in parte lo condivido ma ho una particolare teoria. La guerra si legge meglio da vicino o da lontano? Io sono per la teoria dello zoom, dell’essere sul campo, della testimonianza diretta. Propongo però una correzione, il grand’angolo servirebbe nella zucca dei giornalisti e questo è gia un piccolo problema di ottica. Serventi Longhi parlava dell’atteggiamento negli Usa, della giornalista che non ha voluto rivelare le fonti ed è andata in galera, su quella storia di spionaggio della Cia…sono state conseguenze clamorose. Mi colpisce un fatto. Forse qualcuno è stato disattento riguardo al giornalismo italiano, la bufala dell’uranio del Niger è stata venduta all’amministrazione Bush dai servizi italiani attraverso un organo di stampa italiano, con due giornalisti italiani, con nome e cognome, che sono andati ad informarsi dalla Cia per verificare se è vera quella notizia, rimbalzata e che è stata poi rivenduta al Pentagono ed ha motivato la campagna di Condoleezza Rice, per giustificare l’acquisto di quell’uranio dal Niger, mai avvenuto. Voglio dire che anche noi potremmo preoccuparci di fare un po’ di pulizie in casa. Non mi risulta notizia che persone che abbiano avuto comportamenti deontologicamente scorretti siano stati posti sotto osservazione dagli organi competenti.
MessaggioInviato: Mar Feb 21, 2006 10:06 am
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