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 Indice Forum » Italian Room » Contro la miseria: che fare? Il ruolo dell’ONU, dei governi, della società civile mondiale.
La povertà che noi viviamo è al contrario il prodotto dello sviluppo, di questo sviluppo che genera disuguaglianze
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Fausto Bertinotti



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 La povertà che noi viviamo è al contrario il prodotto dello sviluppo, di questo sviluppo che genera disuguaglianze
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Fausto Bertinotti (Italia), Segretario del Partito di Rifondazione Comunista

Buongiorno a tutti e a tutte. Grazie per questo invito. Confesso una certa difficoltà e un certo imbarazzo a parlare dopo la testimonianza del sacerdote impegnato in Angola, dopo la comunicazione che il nostro amico Presidente adesso svolgeva. In realtà, la povertà costituisce una delle sfide più grandi alla politica ed all’organizzazione della società. Quello che vorrei dire per cercare di interloquire con queste esperienze nel linguaggio della politica, che a sua volta -credo- è sottoposta ad una verifica sulla capacità stessa di comunicare con esperienze così drammatiche, è che questa povertà non è più affrontabile senza intervenire sui meccanismi di accumulazione, sui modelli sociali e sui modelli di sviluppo. Le testimonianze che noi ascoltiamo dal Sud del mondo sono testimonianze drammatiche, ma esse credo non debbano impedirci di vedere il mutamento che sta intervenendo nella povertà. Essa è oggi ugualmente drammatica di 50 ani fa: produce la stessa devastazione, la stessa morte. Quello che è cambiato è che oggi le povertà non sono più -se mai lo sono state- il frutto dell’arretratezza, di un mancato sviluppo, per cui in qualche modo ci si può attendere che quando questo sviluppo arriverà anche laddove non è arrivato, la povertà potrà essere debellata. La povertà che noi viviamo è al contrario il prodotto dello sviluppo, di questo sviluppo che genera disuguaglianze per poter funzionare. Le disuguaglianze non sono una conseguenza inerte di questo sviluppo: sono insieme la causa e il motore di questo sviluppo. Così la povertà si ridistribuisce nel mondo ed in particolare continua a resistere nel Sud del mondo senza essere sradicata. Producendo nuove fratture all’interno di questi stessi Paesi e contemporaneamente, in forme diverse, torna anche in quei Paesi che sembravano averla espulsa dalla loro storia. E' finita drammaticamente in una rovina l’illusione della parte più progressiva dell’umanità. Negli anni Sessanta, l’illusione di Papa Giovanni XXIII, l’illusione dei Kennedy, dei Kruscev, dei Paesi neutrali... questa illusione è la motivazione dei grandi movimenti operai e studenteschi che hanno animato il mondo negli anni Settanta, quella cioè di poter sradicare le povertà. Guardiamo all’Italia: abbiamo pensato che, con le grandi lotte di mezzo secolo, dopo la vittoria contro il nazi-fascismo, pensato e praticato, che un retaggio antico delle nostre genti, delle genti del Sud e tanta parte delle genti del Nord, potesse uscire definitivamente dalla miseria e dalla povertà, affrancati dalle lotte e da uno sviluppo puro e ingiusto. Oggi, all’indomani di una sconfitta storica, siamo di fronte ad un rovescio, e di questo rovescio la politica deve occuparsi ed il rovescio è il prodotto del fatto che la rivoluzione, una vera rivoluzione tecnologica, una rivoluzione capitalistica, quella che chiamiamo “globalizzazione neo-liberale”, ha già tradito tutte le attese e le aspettative che si erano generate o che essa, attraverso una cultura apologetica come quella del pensiero unico, aveva prodotto. La globalizzazione capitalistica non produce sviluppo, crescita e tanto meno produce economia sostenibile e socialmente progressiva. Essa produce crisi, instabilità, nuove e profondissime e drammatiche disuguaglianze. La guerra non nasce solo nel cielo di una politica perversa come quella della teoria della guerra preventiva, ma nasce nel corpo di una globalizzazione che produce ineguaglianze, ingiustizie, instabilità e crisi. E la guerra è la risposta conservatrice, reazionaria, imperiale, a queste disuguaglianze; ma la guerra alimenta il terrorismo, produce la barbarie e la povertà, oggi diventata anche barbarie. Lo tsunami ha prodotto una devastazione che ci ha colpiti: di quella devastazione indubbiamente tanta parte della responsabilità era nei mancati accordi di Kioto, nelle politiche di rapina che vengono fatte, nel rapporto tra Nord e Sud del mondo; ma quando lo Tsunami ha finito la sua furia distruttiva, quello che di relazioni umane in quelle realtà ha resistito, ha prodotto i fenomeni di solidarietà cui si è alluso anche qui. Quando un uragano investe invece il cuore dell’impero, invece che l’emarginazione, ed esce il prodotto di questo sviluppo e di queste contraddizioni, quando l’uragano passa, quello che affiora è una realtà di uomini come lupi, che si sbranano a vicenda, in cui neanche gli aiuti possono essere portati. E quando arriva l’esercito deve sparare come se fosse in guerra. Perché allora la povertà, simile a quella che sembrava riguardare soltanto i Paesi del Terzo mondo si avvolge in una barbarie di crisi di civiltà. Per combattere la povertà, bisogna combattere questa crisi di civiltà, costruire una nuova civiltà. E’ per questo che la lotta alla povertà è lotta, per la pace, lotta per eliminare il pagamento del debito, ma anche per avviare una politica di disarmo, di riduzione delle spese militari. Affrontiamo un problema politico di prima grandezza; sembra banale dirlo, e invece è in qualche modo rivoluzionario: per combattere le povertà bisogna combattere la ricchezza, non si può pensare di combattere la povertà senza combattere la ricchezza. E la ricchezza è ciò che si annida nel potere delle multinazionali, che con la politica dei brevetti e delle proprietà impedisce la diffusione anche semplicemente dei medicinali per combattere le malattie; ma la ricchezza è anche una ricchezza esorbitante. Tariq Ali nelle settimane scorse ha scritto un articolo che mi ha impressionato e diceva pressappoco così: fino a poco tempo fa c’erano due ordini di funzionamento della stessa moneta, uno regolava la vita quotidiana, in cui grosso modo tutti si assomigliavano. In questi Paesi, naturalmente c’era quello molto ricco e quello un po’ povero, ma in qualche modo aveva una relazione questa moneta con la spesa. E poi invece c’era la moneta delle grandi concentrazioni, quella delle imprese e quella dello Stato. Adesso è intervenuta una terza ricchezza, privata, personale, che è comparabile per grandezza a quella delle imprese dello stato. L’amministratore Delegato della Carfour ottiene nel momento in cui smette di lavorare una remunerazione c è l’equivalente di 2500 salari mini garantiti annuali. Fate voi il conto, di quanto è rispetto alla retribuzione mensile di 2$ di cui parlava l’intervento drammatico, fatto qui qualche tempo fa. Questa ricchezza è incompatibile con la lotta alla povertà. Questa ricchezza va sradicata e per farlo ci vuole una lotta. Io penso e ho finito che il ruolo dell’ONU sia un ruolo importante da ricostruire, ma non si ricostruirà per via della diplomazia tra gli stati. L’ONU è sotto schiaffo per una logica imperiale che presiedono gli USA, non c’è relazione inter-statale che possa ricostruire ciò che è stato devastato da queste relazioni. L’ONU dei Popoli è una possibilità, ma, lasciatemi dire, che l'ONU dei Popoli vivrà se vivrà un movimento nel mondo di sostegno all’ONU dei Popoli. Quando il movimento della Pace schierò in un giorno milioni di persone contro la guerra in Iraq, un giornale americano disse che si era fatta viva la seconda potenza mondiale. L’ONU si ricostruirà se questa seconda potenza mondiale, che è il movimento, vivrà non solo un giorno, ma tutti i giorni.
MessaggioInviato: Mer Feb 22, 2006 10:30 am
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