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Giornalisti Rai contro il silenzio
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Roberto Natale



Registrato: 20/02/06 08:32
Messaggi: 1

 Giornalisti Rai contro il silenzio

Roberto Natale, segretario nazionale dell’UsigRai

Mi concentrerò sul servizio pubblico. Parto da una data: 15 febbraio 2003, la grandissima manifestazione a Roma con 3 milioni di persone. Lì si consumò uno dei momenti più neri della storia della RAI, non di questi ultimi anni, ma proprio dell’intera storia della RAI. Il servizio pubblico scelse in quel momento di separarsi dal paese. Fu una data importante per il movimento, ed è stata nel suo piccolo una data importante anche per la nostra storia di giornalisti RAI che partecipammo a quella manifestazione imbavagliati e con uno striscione GIORNALISTI RAI CONTRO IL SILENZIO.
A partire da domenica prossima (11 settembre, Marcia per la Giustizia e la pace Perugia-Assisi, N.d.R.), lo ricordava adesso Paolo, si comincerà a chiudere quella ferita, ancora bruciante. Forse domenica comincia una pagina nuova nel senso che, finalmente oltre il meritorio sforzo che sempre Rainews24 ha fatto, cominceremo a superare la logica vergognosa delle finestre, quella che negli ultimi anni ha fatto in modo che il servizio pubblico si autoimbavagliasse e lasciasse ad altre emittenti la funzione di servizio pubblico. Domenica cominceremo a vedere se questo cambiamento c’è. Anche se lo ha già detto Paolo, davvero non basta, allora cosa deve fare il servizio pubblico? Provo ad indicare tre punti. Certo che tanti altri poi ne verranno indicati da colleghe e colleghi, da operatori dell’informazione e da operatori di pace.
Credo che non dobbiamo aspettarci dal servizio pubblico, neanche nella sua storia migliore, che si metta la bandiera arcobaleno sulle spalle, al servizio pubblico non è richiesto di fare militanza, semplicemente è richiesto, e non è poco, di fare il servizio pubblico e dunque in primo luogo esserci. Penso alle storie di queste settimane: ma è possibile che le vicende della striscia di Gaza, la strage del ponte a Baghdad, anche la vicenda di New Orleans, non siano riuscite a modificare di un millesimo i palinsesti Rai? Possibile che vicende così gravi e importanti non abbiano meritato uno speciale in prima o in seconda serata tranne che su New Orleans nove giorni dopo l’apprezzato speciale del Tg1? Al servizio pubblico, dicevo, non è richiesto di allevare pacifisti, è richiesto, però, e questo si è un suo dovere, di immaginare i cittadini e le cittadine come cittadini e cittadine consapevoli. Se sui nostri schermi la strage del ponte di Baghdad ha lo stesso rilievo, quanto a durata del servizio, del problema creato dal fatto che a Livorno quest’anno giocherà il giocatore Coco, ex di Manuela Arcuri che a sua volta sta con Montano, tifoso eccellente del Livorno e prossimo sposo di Manuela Arcuri, allora il servizio pubblico sta tradendo in modo pesante la sua funzione perché sta trasmettendo l’idea che questi fatti abbiano la stessa importanza. Per questo, noi al servizio pubblico in primo luogo dobbiamo chiedere di essere presente, modificare i suoi palinsesti, far capire, ancor prima di sapere quale sarà, diciamo così, l’impostazione ideologica con la quale questi fatti verranno trattati, far capire che questi fatti li reputa importanti.
Da questo punto di vista, l’estate Rai che si sta chiudendo è stata scandalosa per l’assenza dell’informazio-ne. È una cosa che nemmeno troppo indirettamente colpisce anche i temi dei quali in questi giorni si discute qua in Umbria. Per fare anticipare “Porta a Porta”, che è “Porta a Porta”, c’è voluta la notizia che “Matrix”, il setti-manale di Mentana, partisse il 5 e allora si è deciso di anticipare di una settimana l’inizio dei palinsesti di approfondimento della RAI. Ma un servizio pubblico, degno di questo nome, ha bisogno di guardare in casa Mediaset per sapere che un’offerta abbondante di informazione è un tratto costitutivo della sua essenza?
Primo elemento, dunque, esserci, esserci sugli schermi; secondo elemento esserci con le persone. Io non sono esperto, come sanno anche i miei colleghi che mi conoscono, di questioni internazionali e quindi non so dire se sia fondato. Corriere della Sera del 30 agosto, “la guerra è un male in via di estinzione in quindici anni”, dice uno studioso americano, “il numero dei conflitti si è più che dimezzato”. Non so se sia così, so, però che nei nostri telegiornali, so che nella nostra informazione temi del genere fanno ancora una maledet-ta fatica a passare. So che ormai se a Baghdad ci sono 56 morti in un giorno, c’è il rischio, per parlare del Tg2, tanto per fare un esempio, che non abbiano nemmeno il servizio ma che stiano nelle scritte, nelle venticinque o trenta scritte, che scorrono in sovraimpressione mentre vanno in onda i servizi. Allora esserci con le persone serve a evitare il rischio dell’assuefazione, esserci con le persone significa, riprendo un elemento che toccava Paolo Serventi, che la Rai, per parlare di casa mia, deve tornare in Iraq, la Rai deve assolutamente tornare in Iraq. Ci sono condizioni di sicurezza non garantibili a Baghdad? Può darsi, ma a Nassiriya perché non ci si torna? Sempre per motivi di sicurezza, oppure perché si ritiene che sia rischioso il fatto che dei giornalisti siano a contatto con il contingente Italiano e, seppure, in maniera indiretta, possano venire a sapere di cose, possano raccontare senza i filtri delle censure che possono essere imposti. Allora il servizio pubblico, come vedete, non sto dicendo che deve fare azione contro la guerra, ma solo che deve starci, deve esserci, esserci sugli schermi, esserci con le persone, direi anche esserci con le strutture.
Riprendo qui velocemente una proposta che nei nostri incontri di questi ultimi anni abbiamo fatto ma che non ha ancora ottenuto risposta da parte dei diversi vertici aziendali, e adesso che c’è un nuovo vertice Rai e noi tutti insieme testardamente dobbiamo continuare proporla. L’idea di una sede di corrispondenza Rai dall’ Africa è una proposta che da anni stiamo sostenendo l’abbiamo fatto ancora recentemente con la Tavola, con il Coordinamento enti locali per la pace e i diritti umani, con le riviste missionarie Missione Oggi, Nigrizia, Mosaico di pace, e testardamente continueremo a chiedere al servizio pubblico questo segno d’attenzione. Dipende anche da condizioni strutturali se all’interno dei nostri telegiornali, le cosiddette non notizie o per chiamarle educatamente le soft news, cioè le fesserie che fino a quindici anni fa erano solo sui giornali che trovavamo dal parrucchiere, possano essere ridimensionate a favore di notizie che ci raccontino come va il mondo, che aprano uno sguardo sul mondo a chi guarda. C’è anche un punto tre nelle nostre domande. Cosa fare anche in termini di formazione e allora, ricordo, come abbiamo già fatto in alcuni incontri, ma credo che, cari Flavio, Francesco, ed Elisa, siamo al punto di poter dar gambe a questo progetto, speriamo di uscire da questi giorni anche con la determinazione di costruire un’iniziativa stabile di formazione reciproca tra operatori di informazione e operatori di pace sul modello di quello che, la conoscono molti dei presenti, facciamo ogni fine d’anno a Capo d’Arco per quanto riguarda l’informazione sull’emarginazione sociale. Una versione mirata sulle questioni del pacifismo, di quanto fa il seminario di Redattore sociale a Capo d’Arco. E poi ambiziosamente anche il rapporto con le scuole, non lasciamolo solo alla Moratti: forse in molti di noi abbiamo sentito nei telegiornali di ieri e letto sui giornali di oggi, l’affermazione che la scuola deve essere comunità educante ai valori della legalità e della pace. Qui c’è un capitale di esperienze educative formative e informative che, per parte nostra, come giornalisti del servizio pubblico, ci dichiariamo disponibili a portare nelle scuole in questi anni, so che, tra l’altro è uno dei filoni del vostro lavoro.
Chiudo ringraziandovi con parole mie dell’attenzione crescente che il movimento per la pace italiano ha dedicato in questi anni alle questioni dell’informazione e della comunicazione. C’è un’espressione che a me piace molto e che ha usato Flavio Lotti qualche giorno fa a Roma nella conferenza stampa di presentazione di questa settimana di iniziative; Flavio parlando dell’iniziativa di oggi, di questa mezza giornata di oggi ha detto “non è uno spot”. Mi piace come espressione perché sa dire che è un rapporto serio e profondo, che non si fa dare i tempi dalla società, diciamo dell’immagine, del look, della vuota superficialità. Vi ringraziamo di questa attenzione, chiediamo di mantenerla, c’è ne un gran bisogno, anche per decidere oggi e domani del futuro del servizio pubblico. Non ho bisogno di dirvi siate ambiziosi perché leggendo tra le carte di questi giorni ho letto anche lo slogan, abbiamo già parlato qualche tempo fa “Riprendiamoci l’Onu”. Non voglio dire che da qua debba levarsi il grido, sarebbe legittimo,”Riprendiamoci la Rai”ma certo in forma meno sloganistica è essenziale per noi e mi sento di dire per la società italiana, che il movimento per la pace si spenda pienamente anche nelle questioni della comunicazione, dell’informazione, dei contenuti del servizio pubblico. Guardate è essenziale questo punto di vista perché per tornare un attimo, e chiudo, agli esempi che citavo prima: la strage dei ponti, New Orleans, la vicenda della striscia di Gaza, non una voce si è levata dal mondo politico per contestare alla Rai e al servizio pubblico questo tradimento della sua funzione. E si capisce anche la ragione, non era leso l’interesse di nessun partito direttamente e dunque nessuno aveva motivo per protestare. Capite perché è essenziale che, nel momento in qui si spera presto tornerà d’attualità, la discussione su una radicale modifica della legge Gasparri ci vuole un soggetto credibile, forte con radici sociali, che sia in condizione di chiedere un cambiamento radicale anche nel modo in cui si compone il vertice del servizio pubblico; un vertice che sia composto per diretta filiazione dei partiti difficilmente potrà produrre qualche risultato diverso. Allora è essenziale che il movimento per la pace mantenga quest’attenzione generale. Non fate in modo che il discorso imprescindibile sulla riforma del servizio pubblico debba chiudersi nel triangolo che sta fra Viale Mazzini, Montecitorio e magari le sedi di qualche grande gruppo finanziario che su pezzi del servizio pubblico ha messo gli occhi. Grazie
MessaggioInviato: Mar Feb 21, 2006 12:01 pm
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